La Bretagna e il suo Emsav non dorme mai

[Carlo Pala]

Tra ma vo ‘r mor ‘vel mur ‘n he zro/Ra vezo digabestr ma bro! (Quanto tempo che il mare lo circonderà/Che il mio Paese resti libero!). Queste strofe, tratte dall’inno nazionale bretone (Bro gozh ma zadoù, Vecchio Paese dei miei avi), chiariscono quantomeno il senso di appartenenza che tutti i bretoni rivolgono verso la loro terra.

“Paese”, infatti, non vuole indicare la Francia, ma sta appunto per “Breizh”, ovvero il termine che in lingua bretone indica la Bretagna storica, cioè quella che si spinge fin sotto Nantes.

In queste prime righe si possono riscontrare già tre elementi centrali, inconfutabili. I bretoni non sono solo la popolazione di una deviazione geografica (la penisola armoricana) rispetto all’uniformità dell’Esagono francese; questi hanno un fortissimo sentimento di identità regionale (che per alcuni dovrebbe essere invece chiamato “nazionale”); essi parlano, almeno in una buona parte della loro regione (quella occidentale della Basse Bretagne), il brezhoneg, ovvero la lingua bretone, e nella parte orientale il gallò, una lingua neoromanza influenzata dal bretone e dalla vecchia langue d’oïl; e i confini della loro identità nazionale bretone si estendono al di là di quelli meramente amministrativi della regione francese detta “Bretagna”, spingendosi per ragioni storiche e culturali fino a ricomprendere tutto l’attuale dipartimento della Loira Atlantica (con il suo capoluogo – anche della regione Pays de la Loire – Nantes).

Basterebbero questi pochissimi elementi per configurare almeno un’eccezionalità di questo contesto all’interno della Repubblica francese. Ma ce ne sarebbero moltissimi altri.

Pur non volendo ripercorrere temi e problemi della question bretonne – che, se di interesse per questa piattaforma, potrebbero essere oggetto di opportune riflessioni successive -, in questo contributo intendiamo dare rapidissimi elementi di riflessione, e senza ovviamente alcuna pretesa di esaustività, per il lettore italiano su questo particolare contesto territoriale.

Le ultime elezioni regionali francesi nel giugno 2021, poi, ci serviranno per comprendere se le rivendicazioni territoriali (e regionaliste) – come quelle dei Bonnets Rouges prima e dei Gilets jaunes poi, con in mezzo quelle degli agricoltori, dei pescatori e dei difensori del brezhoneg, ad esempio – abbiano trovato uno sbocco, seppur minimo, anche da un punto di vista politico-elettorale.

Per farlo, così come conviene sempre fare quando si parla di Bretagna, ci serviamo di un concetto spesso abusato nella letteratura sul tema, quanto però necessario: l’Emsav.
Questo termine, che in italiano si tradurrebbe come “risveglio”, “ripresa”, “rinascimento”, indica un momento storico preciso (a partire dagli ultimi due decenni dell’Ottocento), nel quale la question bretonne recupera e ricompatta le sue due principali dimensioni, quella culturale e quella politica.
Tutto il movimento autonomista, regionalista/nazionalista, indipendentista bretone, da quel momento in poi, si rispecchia nell’Emsav ed è esso stesso Emsav, pur con tutte le differenze interne.

L’idea generale del movimento e delle sue rivendicazioni parte da un assunto tutto sommato semplice negli approcci scientifici allo studio della nazione come concetto: una nazione e la sua cultura o è politica o non è (nazione). Questo non significa che la società regionale abbia espresso forti e durevoli posizioni di netta contrapposizione con lo stato francese (a parte alcuni periodi ben circostanziati, anche di violenza politica) e che queste si siano tradotte elettoralmente per i partiti bretoni in percentuali da doppia cifra.
Significa, invece, che il regionalismo e nazionalismo bretone, fenomeno certamente esistente e sempre esistito, è partito da un bisogno di affermazione identitaria (cultura) che vedeva nella sua giustificazione politica (nazione) la propria ragion d’essere.

Anche oggi l’Emsav è questo. Cultura e politica che si cercano e, spesso, si respingono, per poi cercarsi di nuovo. I militanti dell’Emsav, in Bretagna, sono prima di tutto militanti culturali, che poi passano anche alla politica per trovare spazi di mobilitazione alle proprie idee e, se delusi, ritornano alla cultura come forma per continuare l’impegno dell’Emsav stesso. Quasi descrivendo un percorso circolare in una ipotetica rappresentazione grafica.

Insieme all’ambientalismo, possiamo certamente dire che le componenti politiche essenziali della question bretonne trovano radice in temi di carattere identitario-culturale: dalla lingua, all’educazione; dalla storia antica, a quella un po’ più recente; dall’archeologia, alla gastronomia; persino al folclore e alla musica tradizionale, sono tutte componenti dove si vedono i “militanti”.

Questi non sono più “semplici” protettori del bretone e del gallò, o suonatori di bombardes e biniou kozh, o danzatori di An Dro. Sono prima di tutto militanti, più o meno consapevoli, della resistenza di una forma di cultura all’assimilazione francese, in passato assai poco tenera con quella locale.

Anche se il discorso sarebbe più complicato di così, possiamo dire che l’Emsav, quindi, è il collante che ancora oggi tiene unito il tutto. Il movimento bretone è politico perché è culturale, ecologista, anche socioeconomico e così via. Ma la forte compenetrazione tra questi mondi – quasi un doppio e triplo ruolo per ognuno dei militanti “politici” – rende l’identità bretone un aspetto essenziale anche per chi militante politico vero e proprio non è.

In una regione come questa, dove la componente sociale è particolarmente sviluppata quanto coltivata, il regionalismo, da forma di resistenza all’assimilazione di cui sopra, è diventato e diventa sempre più opzione politica importante.
Anzi, lo è ancora di più se si pensa che anche i militanti di partiti “francesi” operanti in Bretagna hanno quasi sempre affiancato all’attività politica quella da Emsav più propriamente detto. Non era raro che un socialista e un neogollista fossero entrambi membri di un cercle celtique musicale e coreutico, quanto non lo è oggi che un macroniano, un verde o persino un (raro) lepenista siano membri dei direttivi delle scuole Diwan e parti dei gruppi di Stourm ar Brezhoneg (Lotta per il bretone) senza sentirsi per forza indipendentisti o autonomisti.
A tutt’oggi, il collettore principale dell’Emsav politico resta comunque l’Union Démocratique Bretonne (UDB), partito politico che sposta decisamente a sinistra il regionalismo bretone a partire dal 1964, anno della sua fondazione a Rennes, città poi diventata capoluogo regionale. In questa formazione politica troviamo una sussunzione di quanto dicevamo poc’anzi a proposito dell’impegno sociale e militante in Bretagna a favore della propria terra.

Il partito autonomista, che ospita al proprio interno anche piccole frange di indipendentisti e federalisti, ha da subito ancorato la propria posizione politica a sinistra, come dicevamo. Tuttavia, la sua strategia elettorale è divisibile in due grandi periodi: dalla sua formazione al 2009/10 circa, con il Parti Socialiste, le PCF e i Radicaux de Gauche, oppure, da soli o alleati ad altre piccole formazioni etnoregionaliste bretoni; dal 2011 ad oggi l’alleanza si struttura attorno ai Verdi francesi e ad Europe Écologie. Sempre a sinistra, dunque, ma con un asse privilegiato con la formazione ecologista francese. Questa alleanza si è mantenuta anche in occasione delle elezioni regionali del 20 e 27 giugno 2021.

L’UDB costruisce una propria alleanza (nella lista Bretagne d’avenir) con i Verdi/Europe Écologie della leader ecologista bretone Claire Desmares-Poirrier, contrapposti alla coalizione di (centro)sinistra guidata dal presidente uscente (e riconfermato) Loïg Chesnais-Girard.
Al primo turno del 20 giugno si posizionano come quarta lista con il 14,8% dei voti, evidenziando già un buonissimo risultato. Venendo ammessa al secondo turno, la lista migliora ancora la sua performance e si piazza addirittura quale terza lista più votata con un risultato al di là delle migliori sensazioni dei più: il 20,2% dei voti (pur con un tasso di astensione introno al 63%, mai registrato prima nella regione) e dodici seggi sugli 83 totali.
Tra questi ultimi l’UDB, dentro la lista bloccata e senza preferenze, riesce a far eleggere quattro consiglieri regionali, per lo più molto giovani, tra cui un ex porte-parole del partito, Christian Guyonvarc’h, e il suo attuale, Nil Caouissin.

La campagna elettorale è stata in qualche modo “dominata” da una proposta che proprio lo stesso Caouissin ha avanzato con forza, sulla stregua di quanto avveniva anche in Corsica nella ex coalizione nazionalista/indipendentista di Simeoni e Talamoni (oppure nella provincia autonoma di Bolzano che la ha realizzata dal 2018): lo statuto di residente.
Di questa proposta, che in uno stato come la Francia non poteva non attrarre l’attenzione anche dei principali media a Parigi, fatta per contribuire ad arrestare lo sfruttamento costiero e interno, il fortissimo aumento del traffico automobilistico, ma soprattutto la forte compromissione delle terre agricole e di quelle costiere, con conseguente innalzamento dei prezzi fondiari e immobiliari in regione, tutti hanno discusso.
Il principio è semplice: dare la possibilità solo ai residenti permanenti di comprare un bene immobiliare e permettere così ai giovani e non di restare nei loro territori, oggi fortemente penalizzati da un mercato fuori controllo.
Nel dibattito che a tutto questo è seguito si sono inserite le lotte dei Bonnets rouges bretoni, i quali a partire dal 2013 si battono per un’agricoltura rispettosa dell’ambiente, senza le onerose tasse che fino a quel momento caratterizzavano la vita degli agricoltori in questa regione.

L’intersezione con la protesta regionalista, di recente acuitasi dopo le decisioni del Consiglio costituzionale sulla cosiddetta Loi Molac (dal nome del primo parlamentare regionalista bretone, Paul, a sedersi in assemblea Nazionale), era solo una questione di tempo.
L’UDB è riuscita ad interpretare di nuovo un risveglio – anche questo ciclico – dell’Emsav politico, che racchiude a sé tutti gli aspetti che dicevamo in precedenza.
Anche alcuni eletti regionalisti nelle liste del presidente di sinistra Chesnais-Girard, come Christian Troadec, si sono detti pronti a votare la proposta, che “rischia” di essere trasversale.

Tuttavia, e cercheremo di seguire anche questa questione, il tema principale che Rannvro Breizh (Regione Bretagna) dovrà seguire è quello della riunificazione, tema che da altre parti equivarrebbe come intensità a quello di una richiesta di indipendenza statale. La riunificazione è quella che persino il nuovo presidente, nelle sue dichiarazioni programmatiche e nel discorso di investitura ha posto come obbiettivo da raggiungere tramite referendum, tema storicamente caro a tutti i militanti politici dell’Emsav, autonomisti o indipendentisti che siano: il ritorno, mai più avvenuto dopo la stagione di Vichy e del Maresciallo Pétain nel 1940/42, di Nantes e della Loira Atlantica alla Bretagna amministrativa.
Un problema che potremmo definire di ricomposizione territoriale del potere. Fino a quindici anni fa il tema coinvolgeva solo i militanti. Oggi è diventato importante, soprattutto per coloro che desiderano che Rannvro Breizh abbia più poteri, interni e verso Parigi. Quest’ultima non pare assolutamente propensa. Ma come dice l’inno bretone “Ni, Breizhiz a galon, karomp hon gwir vro”, ovvero “Noi, Bretoni di cuore e identità, noi amiamo il nostro vero Paese”. E il loro vero Paese, la storia ce lo conferma, vuole Rennes e Nantes assieme.