Il Veneto, tra identità e ricorsi

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[Paola Bonesu]

Domenica 22 Ottobre in Veneto un’affluenza del 57,2% degli aventi diritto e un voto pressoché unanime (98,1%) per il SI sancivano il successo per il presidente Luca Zaia e per la proposta (molto vaga nei termini) di iniziare con il governo italiano una trattativa volta a ottenere maggiori poteri nel quadro dell’art. 116 comma III della Costituzione. Un risultato che ha richiamato l’attenzione dei media italiani sulla questione veneta, in realtà poi scomparsa dal dibattito politico dopo appena qualche giorno.

Il 15 Novembre il Consiglio Regionale ha approvato la proposta di legge statale n.43 che indica gli ambiti sui quali dovrà muoversi la trattativa. Il Veneto rivendica la competenza esclusiva su 23 materie: tutte quelle di competenza concorrente indicate all’art. 117 comma III Cost. e tre materie ad oggi di competenza statale (norme generali sull’istruzione, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, organizzazione della giustizia di pace).
Oltre a questi temi, il Consiglio Regionale aggiunge sul piatto la questione del cosiddetto residuo fiscale, prevedendo che la Regione trattenga i nove decimi dei gettiti di Irpef, Ires e IVA e auspica un rafforzamento del controllo regionale (o per meglio dire del coordinamento Stato-regione ex art. 118 Cost.) sui flussi migratori per questioni economiche (art. 39 della Pdls, significativamente inserito nella sezione “Tutela e sicurezza del lavoro”). La proposta è stata approvata all’unanimità con 40 voti favorevoli; non hanno partecipato alla votazione il Partito Democratico, un’esponente del M5S e una della lista Alessandra Moretti Presidente.

Il travagliato percorso referendario è solo uno dei campi sui quali Zaia sta “giocando” col Governo italiano. Il presidente della Regione Veneto è forte di un consenso politico personale interessante, avendo nel 2015 vinto le elezioni al primo turno e ottenuto con la lista a suo nome ben il 23% dei voti, sopravanzando la Lega Nord, ferma al 17,8% e rimasta con metà dei voti rispetto a 5 anni prima.
Zaia è quindi uno degli uomini cui più potrebbe star stretta la Lega salviniana: in quest’ottica possiamo leggere (quantomeno a livello di immagine) la sua attività “venetista” all’interno delle istituzioni, tradotta nel supporto a iniziative legislative che puntano su elementi simbolici dell’identità veneta e che, trovando la scontata opposizione del Governo italiano (concretizzatasi in ricorsi alla Corte Costituzionale), gli permettono di proporsi come paladino delle ragioni identitarie. La lingua e la bandiera diventano così grimaldelli del consenso politico all’interno di leggi regionali non sempre lineari dal punto di vista giuridico.

La legge regionale n.28/2016 ad esempio, proposta da alcuni consigli comunali e approvata con 27 voti a favore (con l’aiuto di tre consiglieri tosiani di opposizione e l’astensione di FI e FdI tra le fila della maggioranza) sancisce l’applicazione all’intero popolo veneto della Convenzione-quadro del Consiglio d’Europa per la protezione delle minoranze nazionali. Il popolo veneto è riconosciuto a livello statutario (e quindi con legge statale n.340/1971), ma nella legge in oggetto arriva ad assorbire anche “le comunità etnico-linguistiche cimbre e ladine”.

In particolare, nelle intenzioni dei comuni promotori della proposta di legge, il riferimento alla Convenzione-quadro avrebbe tra gli scopi il riconoscimento del bilinguismo veneto-italiano, prevedendo diritti che la Convenzione attribuisce alle minoranze nazionali, come posti riservati nell’amministrazione statale e locale e mezzi di comunicazione dedicati, oltre che la possibile istituzione di scuole bilingue.

La tutela coinvolgerebbe tutti coloro che attraverso una dichiarazione spontanea si riconoscessero cittadini di minoranza nazionale veneta, stante il benestare di un’aggregazione delle “associazioni più rappresentative rispetto alla tutela della identità, cultura e lingua venete”.
L’art. 16 della Convenzione-quadro prevede inoltre che non si possano mettere in atto misure che modifichino le proporzioni della popolazione in un’area geografica ove risiedono persone appartenenti a minoranze nazionali per alterarne così i diritti. I promotori della legge interpretano questa disposizione come la possibilità che i flussi migratori nel territorio siano gestiti dalla stessa rappresentanza della minoranza, tema che come abbiamo visto sta oggi particolarmente a cuore al legislatore regionale.

I costi per la tutela dei diritti della minoranza sono previsti del tutto a carico dello Stato italiano, non essendo peraltro scontato che la minoranza veneta debba trovarsi a vivere nella medesima regione. Essa comprende infatti “anche quelle comunità legate storicamente e culturalmente o linguisticamente al popolo veneto anche al di fuori del territorio regionale”. La legge è stata impugnata dal Governo italiano (ricorso n. 16/2017), che contesta diverse violazioni della Costituzione.
In particolare nel ricorso si identifica il popolo veneto riconosciuto a livello statutario unicamente come l’insieme dei residenti della Regione Veneto. Poiché la Regione concorre costituzionalmente a formare la Repubblica, si dice, risulta esserne parte integrante e sostanziale e quindi non una minoranza nazionale staccata e contrapposta dalla Repubblica stessa (unita e indivisibile). L’intera popolazione regionale non può poi essere esposta alla violazione di diritti costituzionali fondamentali perché la Regione stessa (anche nella sua popolazione) è uno degli elementi che concorre a garantire quei diritti. Non può essere oggetto di una violazione di diritti di cui essa stessa è garante.
Il Governo eccepisce anche la possibilità che la Regione si autoproclami minoranza interponendosi nell’applicazione di una Convenzione internazionale e possa, attraverso una legge regionale, imporre nuove spese a carico del bilancio statale.

Il ricorrente si spinge inoltre ad asserire che manchi qualsiasi “evidenza scientifica” che possa che possa permettere “di attribuire alla popolazione del territorio veneto connotati identitari tali da giustificarne un trattamento giuridico quale “minoranza nazionale” da tutelare rispetto alla generalità del popolo italiano”.

In questo quadro, è interessante ricordare come lo Stato italiano, pur avendo introdotto la Convenzione in oggetto nel suo ordinamento (L. 302/1997), non abbia finora identificato minoranze nazionali sul suo territorio ma riconosca (art. 6 Cost. e L.482/1999) solo “minoranze linguistiche”, tra cui non vi è però quella veneta.

Un nuovo terreno di scontro si è aperto con l’approvazione della legge regionale n. 28 del 5 settembre 2017 presentata da Silvia Rizzotto (Lista Zaia) e approvata con 31 voti a favore (contrario il PD e non votanti i 5 Stelle) che prevede nuove disposizioni rispetto all’utilizzo di stemma e bandiera.
Il punto più controverso è quello dell’esposizione della bandiera di San Marco anche “all’esterno degli edifici sedi della Prefettura e degli uffici periferici delle amministrazioni dello Stato” con la possibilità di comminare una sanzione amministrativa in caso di rifiuto: la Regione potrebbe quindi multare lo Stato centrale.

La legge indica inoltre l’obbligo di apporre lo stemma della Regione del Veneto su tutte le opere, beni o servizi pubblici realizzati o acquistati con il contributo regionale (immaginiamo, ad esempio, cosa potrebbe accadere all’interno di una scuola).
Il Governo ha annunciato il ricorso alla Corte Costituzionale (comunicato stampa del 23 Settembre 2017) ma ancora non risulta aver depositato le motivazioni.

Il risultato del referendum è l’ennesima prova che una questione veneta esiste, almeno in forma di protesta anticentralista. Tuttavia i numeri non si rispecchiano né in una mobilitazione costante né in un consenso elettorale importante verso partiti indipendentisti o “puramente” autonomisti, con la Lega che fa ancora la parte del leone.

Indebolito anche il principale rivale interno, il fuoriuscito Tosi, Luca Zaia rimane forte del suo consenso personale ma è portatore anche delle ambiguità della Lega in Veneto. Alzare l’asticella, spostare sempre in là l’obiettivo, definire un nemico sono i mezzi per la sopravvivenza politica. Sul fronte contrario, lo Stato ha finora scelto di muoversi con prudenza, opponendosi alle leggi regionali ma negando l’esistenza di una questione veneta.

Ma per quanto tempo queste strategie opposte potranno rivelarsi efficaci e gli elettori veneti convinti di accettare che uno scontro costante (con promesse sempre più roboanti) possa giocarsi su quelli che riconoscono come elementi della loro identità?

 

Per saperne di più:

Sentenza 118/2015 su referendum consultivi sull’indipendenza e l’autonomia

Proposta di Legge Statale n.43 – Consiglio Regionale Veneto

LEGGE REGIONALE n. 28 del 13 dicembre 2016

Applicazione della convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali

Con relazione:

http://www.consiglioveneto.it/crvportal/pdf/pratiche/10/pdl/PDL_0116/1000_5Ftesto_20presentato.pdf

Statuto del Veneto

Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali

Ricorso 16/2017

LEGGE REGIONALE n. 28 del 05 settembre 2017: Nuove disposizioni in materia di uso dei simboli ufficiali della Regione del Veneto modifiche e integrazioni alla legge regionale 20 maggio 1975, n. 56 “Gonfalone e stemma della Regione”

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